Nord e sud, bianchi e neri, autoctoni e immigrati. Odiare chi è diverso da noi è innato nell’uomo.
Ma quali sono i meccanismi psicologici che stanno alla base di questa ostilità?
SEMPLIFICARE IL MONDO
Ogni giorno entriamo in contatto con persone diverse, sia dal vivo che tramite social o programmi televisivi.
Non potendo conoscere tutti in modo approfondito, il nostro cervello cerca di “schematizzare” le persone in base a sesso, occupazione, religione o nazionalità. In questo modo ci si potrà aspettare un certo tipo di comportamento o di pensiero da chi appartiene a una certa categoria.
Solo così la nostra mente riesce, in breve tempo e con poco sforzo, ad analizzare e comprendere il complesso ambiente sociale che ci circonda.
Categorizzare le persone, favorisce di conseguenza la nostra autostima. Sentirsi parte di un gruppo crea infatti un’immagine più positiva di sé. Ma questo può portare anche a gravi conseguenze.
PERCHE’ DOBBIAMO ODIARE IL DIVERSO?
Già nel 1929 Freud parlava di come aggregazione e gruppalità siano possibili solo grazie al far sentire inferiore chi è diverso.
Tutta l’aggressività viene quindi proiettata verso i gruppi estranei, che diventano oggetto di odio e disprezzo. Il diverso diventa quindi il capro espiatorio su cui riversare la rabbia e il rifiuto.
Proiettando le proprie parti negative verso chi è diverso da noi, distinguiamo il gruppo a cui apparteniamo e ci sentiamo gratificati nell’appartenervi.
In psicologia sociale sono noti gli esperimenti di Henri Tajifel proprio legati al tema dell’Identità Sociale.
Egli aveva per esempio suddiviso dei ragazzi di 15 anni in due gruppi: chi preferiva i dipinti di Klee e chi quelli di Kandinskij.
Ad ogni partecipante veniva poi chiesto di scegliere tra due compagni a chi dare una ricompensa.
Spontaneamente, i soggetti sceglievano di assegnare il premio ad uno dei membri del proprio gruppo, come per spirito di cameratismo. Eppure, questi ragazzi non si conoscevano, non sapevano nulla l’uno dell’altro. La loro preferenza si basava solo sull’appartenenza allo stesso gruppo, che veniva considerato diverso, migliore e contrapposto all’altro.
La particolarità è che spesso l’ostilità viene diretta verso i gruppi socialmente o geograficamente più vicini al nostro, semplicemente perché più accessibili e più facili da confrontare.
Questa prospettiva spiega chiaramente come possa esserci odio intenso fra gruppi concentrati in piccoli territori o appartenenti alla stessa comunità.
IL CASO FELTRI
“I meridionali in molti casi sono inferiori”: così ha dichiarato qualche giorno fa Vittorio Feltri, direttore di Libero, in una nota trasmissione televisiva.
È evidente che il processo di categorizzazione può generare stereotipi e pregiudizi privi di alcun fondamento fattuale. I pregiudizi possono essere infatti considerati meccanismi di difesa contro la paura di ciò che non conosciamo.
Discriminare l’altro vuol dire non conoscerlo e fare di tutto per allontanarlo, cercando riparo nell’atteggiamento opposto: il conformismo (potete trovare altre informazioni sul tema del conformismo in questo articolo: IL CORONAVIRUS E LA PSICOSI DEGLI ACQUISTI INCONTROLLATI).
Tuttavia, come nel caso di Feltri, nessuno ammette facilmente di avere pregiudizi o idee razziste.
Ogni individuo tende infatti a sfoggiare le qualità personali, tenendo nascosti gli aspetti più negativi della propria personalità. Nella nostra società, le idee razziste sono condannate e quindi il soggetto deve cercare di nasconderle il più possibile.
LE CAUSE E I RIMEDI
Se il razzismo è in parte insito nella nostra natura, possiamo però chiederci da quali fattori possa essere influenzato.
Sicuramente hanno un grande impatto sulle idee razziste i fattori culturali e sociologici.
L’influenza mediatica, per esempio, condiziona l’opinione pubblica in base alle notizie che vengono diffuse.
Allo stesso modo, se un bambino sente continuamente commenti razzisti dei genitori verso altre etnie, svilupperà quasi sicuramente un atteggiamento di odio o repulsione verso le persone di quell’etnia.
Hanno un’influenza determinante sulle nostre idee razziste anche l’istruzione ricevuta e il quoziente intellettivo. Diversi studi hanno infatti dimostrato che gli individui con un Quoziente Intellettivo più basso sono più propense a sviluppare pregiudizi e visioni politiche conservatrici (https://libreriamo.it/societa/razzismo-e-indice-scarsa-intelligenza/).
Essere un po’ razzisti fa quindi parte di noi ma possiamo attivarci per ridurne gli effetti.
Può aiutare il comprendere e approfondire di più le nostre conoscenze su chi è diverso da noi.
Ma anche guardare dentro noi stessi per identificare quando stiamo mettendo in atto meccanismi automatici di giudizio. Portare gli stereotipi alla luce, ragionarci su e capire come influenzano il nostro pensiero, può far perdere loro potere.
Insomma, solo conoscere il nostro mondo interno può aiutarci a conoscere il mondo esterno e a non discriminare chi non ci somiglia.
Paola Fumagalli